Comunicato stampa di CIAC Onlus
Vittime di torture e violenze nell’inferno libico, arrivate in Italia attraverso corridoi umanitari e ora al centro di un percorso di accoglienza e integrazione in cui hanno un ruolo cruciale e non sono solo numeri da assistere. Sono i protagonisti di un importante progetto sperimentale nazionale nato dalla collaborazione tra CIAC e Medici Senza Frontiere (MSF), presentato questa mattina nella sede dell’associazione parmigiana.
A descrivere il progetto il direttore di CIAC Michele Rossi e il direttore dei programmi di MSF, Marco Bertotto insieme ad alcuni operatori delle due realtà. “E’ un progetto molto significativo – ha sottolineato Rossi – perché, grazie alla collaborazione con MSF, inverte alcuni paradigmi dell’accoglienza per come li conosciamo. Attraverso i corridoi umanitari evitiamo alle persone il viaggio che è un ulteriore trauma e, allo stesso tempo, riusciamo a garantire alle persone una accoglienza dignitosa e rispettosa del loro vissuto. L’obiettivo è costruire un percorso insieme a chi emigra: prima su Palermo e poi su Parma e altri territori italiani”. Per CIAC questo percorso innovativo ha una duplice valenza. “Ci permette di dire – continua Rossi – che è possibile accogliere, e che si riesce a farlo in modo sicuro e legale, coinvolgendo direttamente le persone nelle scelte. Crediamo che sia un bel segnale e, ancora di più in questo periodo in cui sentiamo parlare di sbarchi selettivi e di politiche restrittive del diritto di asilo, crediamo che questo progetto sia da estendere e far diventare un modello per tutta Italia”.
Per il direttore dei progetti di MSF si risponde a una precisa necessità delle persone presenti in Libia. “Da anni lavoriamo nei campi di detenzione libici e i nostri operatori ci hanno chiesto un aiuto per l’evacuazione di persone che hanno subito tortura e violenze – ha spiegato Bertotto – ma l’evacuazione non era sufficiente e ci siamo chiesti come fare ad accompagnarli nel loro percorso di accoglienza in Italia. Per farlo avevamo bisogno delle competenze nell’ambito dell’accoglienza e quindi abbiamo coinvolto Ciac che ha molta esperienza in questo senso”. Per MSF la realizzazione di questo sistema di integrazione “testimonia la praticabilità di un modello alternativo che spazza via alcuni pregiudizi sulla migrazione e sull’asilo. Dimostriamo che esiste la possibilità legali e sicure con cui le persone possono cercare protezione. Allo stesso tempo, non dobbiamo cadere nell’errore che i corridoi umanitari siano l’unica soluzione possibile, ma per alcune specifiche persone è fondamentale costruire dei percorsi dedicati”.
Il progetto, che in questa fase riguarda 12 persone tra cui anche nuclei famigliari con nuclei con figli piccoli, è costruito in diverse fasi. La prima riguarda l’identificazione delle persone in Libia, cosa molto complessa e svolta dal team in loco di MSF. La seconda parte riguarda l’attivazione dei corridoi umanitari gestiti da Unhcr, Comunità di Sant’Egidio, Fcei e Tavola Valdese in convenzione con il Governo italiano e il trasporto delle persone in Italia. La terza e ultima fase riguarda la loro accoglienza: per sei mesi sono state accolte a Palermo con percorsi di presa in carico sanitaria e nelle prossime settimane saranno spostati in altri centri di accoglienza tra cui Parma. L’obiettivo è garantire a chi ha subito traumi fisici e psicologici un’accoglienza sociale integrata e diffusa in Italia, calibrata sulle esigenze delle persone e costruita insieme a loro.
Significative le testimonianze di chi ha lavorato insieme a chi è arrivato in Italia. “In queste persone – ha raccontato Marco Musso, operatore sociale di MSF – abbiamo visto la volontà di riprendersi la loro vita e ricominciare. A partire dalla lingua italiana ma anche a tutte le attività proposte, anche specifiche per ogni persona. Stiamo lavorando insieme a loro per un’autonomia all’interno del percorso di integrazione”. Uno sguardo più legato alla parte sanitaria è quello di Francesca Notari, infermiera di MSF. “Sono persone che hanno subito tortura di diverse tipo, spesso vittime di violenze sessuali, anche gli uomini. Sono situazioni molto complesse, devi essere capace di ascoltare e metterti a loro disposizione. Spesso le persone che noi riteniamo più vulnerabili sono quelle che riescono ad esternare la loro storia, ma a volte chi non riesce a raccontare quello che ha subito è quello che ha più necessità di aiuto”. Alberto Anelli di Ciac ha seguito tutta la parte di formazione degli operatori che hanno seguito direttamente le persone. “Per me è stato un grande onore – dice – seguire questo progetto. E’ stata un’esperienza importante e incredibile, che ha formato anche a me. Per queste persone servono interventi multidisciplinari e una accoglienza integrata e diffusa che gli permetta di sviluppare la loro autonomia, con la possibilità di poter scegliere liberamente chi vuole essere”.